sabato 9 luglio 2016

Il crimine più grande è stare con le mani in mano

Nel lontano 1975 Marco Pannella - preso per pazzo dalla totalità delle classi dirigenti dei partiti di allora - metteva in atto una delle sue più celebri disobbedienze civili: si faceva arrestare autodenunciandosi per aver fumato uno spinello!

Come non ricordare le disobbedienze civili dell'On. Rita Bernardini? "Coltivazione e cessione gratuita di cannabis" alle persone affette, tra le altre patologie, da SLA e alzheimer?
Ecco una notitia criminis per il Procuratore di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri: sul suo profilo facebook, l'ex parlamentare Rita Bernardini pubblica con cadenza settimanale foto come questa che testimoniano la sua ennesima coltivazione.
Qualcuno potrebbe dire che non serve una legge visto che il consumo è stato depenalizzato.
Andatelo a dire a Fabrizio Pellegrini, pianista di 47 anni, malato di fibromialgia. Andateglielo a dire al carcere di Chieti, dove si trova recluso da circa un mese per aver coltivato 4 piante di cannabis nel suo appartamento.

Qualcuno c'è andato a trovarlo: l'avv. Vincenzo Di Nanna (Segretario di Amnistia Giustizia e Libertà - Abruzzi) che in questo modo ha appreso che la cannabis gli serviva come cura e che per questa cura la sua ASL pretendeva che pagasse centinaia di euro settimanali. 

Dopo oltre 40 anni di lotte nonviolente e disobbedienze civili per legalizzare la cannabis, ci sono finalmente alcuni nostri rappresentanti che siedono in Parlamento che cominciano ad occuparsene:
nel manifesto del gruppo interparlamentare (www.cannabislegale.org), presieduto da Benedetto Della Vedova (gruppo misto) e al quale hanno aderito circa 200 parlamentari provenienti da molte parti dello schieramento politico (prevalentemente Sinistra Italiana, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle), i parlamentari scrivono: “abbiamo deciso di costituire un intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati, capace di rivolgersi insieme ad opinione pubblica e forze politiche per lavorare a una proposta comune, credibile e concreta da presentare all’attenzione delle Camere.

Persino la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, nel documento presentato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, esprime il proprio “parere positivo per tutte le legge che mirano a legalizzare la coltivazione, la lavorazione e la vendita della cannabis e dei suoi derivati”.
Si può essere più chiari di così?


Si può essere più chiari del prof. Umberto Veronesi (direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia) che dice "No! La marijuana non fa male"?
Intervenendo nel dibattito dalle pagine del settimanale “Oggi” il prof. Veronesi dice: “Come ministro della Salute mi posi anch'io questa domanda anche come medico e soprattutto come padre di famiglia. Ebbene, la commissione scientifica che avevo nominato concluse che i cosiddetti 'danni da spinello' sono praticamente inesistenti.” “Oggi perfino l'Organizzazione mondiale della sanità ha invitato i governi a depenalizzare l'uso personale di marijuana”; "Infondata anche la credenza che la marijuana dia dipendenza e apra la strada all'uso delle droghe pesanti, come cocaina e morfina. Liberalizzare lo spinello non è malinteso permissivismo, ma una posizione realistica che punta alla riduzione del danno. Risulta che metà dei nostri giovani e molti adulti fanno uso di marijuana. Ha senso criminalizzarli?".

Ma non tutti la pensano così.



«Penso che uno Stato democratico non si possa permettere il lusso di liberalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini» chiosa il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri dalle pagine de La Stampa.
È un refuso o il signor Procuratore, nel teorizzare uno Stato etico che decide cosa fa bene e cosa fa male, confonde “legalizzare” con “liberalizzare”? Sub Lege Libertas recita il famoso motto della Polizia di Stato. In assenza di regole, non c'è vera libertà. Il mercato della cannabis è già liberalizzato, visto che ne fanno uso milioni di italiani; quello che manca è una regolamentazione che permetta, tra l'altro, allo Stato di risparmiare sull'attuale costo repressivo e incassare le relative tasse.

Oggi, noi cittadini, possiamo dire la nostra visto che è in atto la raccolta firme per la presentazione della legge di iniziativa popolare della campagna Legalizziamo! (www.legalizziamo.it) che Radicali Italiani e Associazione Luca Coscioni hanno promosso in collaborazione e con il sostegno delle più importanti realtà antiproibizioniste. Una proposta di regolamentazione tra le più avanzate del consumo, della produzione e del commercio di cannabis. Tutti i vibonesi da oggi possono recarsi in Comune per firmare la proposta di legge di iniziativa popolare o chiedere maggiori informazioni su come aderire al numero 3281874417.
Ecco un modo tangibile per combattere il crimine organizzato e riappropriarci dell’iniziativa politica.

giovedì 25 febbraio 2016

Estratto dalle acque

Questa breve racconto racconta la storia di un bambino.

Vorrei dedicare questo breve articolo a Marco Pannella ma parafrasando Antoine de Saint-Exupéry, dedico questa storia al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati bambini una volta, anche i grandi uomini, e quindi dedico questa storia a Marco Pannella, quando era un bambino.
Anche il bambino di questa storia è stata una grande persona.

La sua storia è un esempio per tutti noi ma la sua storia non è unica; chissà quante altre persone da bambine hanno vissuto la sua stessa esperienza.
Il bambino in questione è un bambino africano, che ad appena tre mesi di età ha subito la tragedia dell’abbandono.

Abbandonare, parola d’origine francese da “à bandon” / “mettre à bandon” = “lasciare alla mercè (di qualcuno)”.
In questo caso un abbandono non voluto, o per meglio dire, un abbandono obbligato, un abbandono frutto di una persecuzione.
Solo chi ha vissuto in prima persona una esperienza di questo tipo, è in grado di quantificare quanto dolore, quanta sofferenza, quanto sconforto, … si celi dietro la scelta consapevole di dover abbandonare il proprio figlio.
Eppure, nel caso in questione si è prodotto un miracolo - ebraicamente parlando.
Chi abbandona il proprio figlio, ovviamente, non è in grado di prevedere quale destino attende quella persona inerme, incapace di difendersi, incapace di decidere per se stesso MA … una cosa è certa, chi abbandona il proprio figlio in cuor suo ha un solo desiderio - uno e uno solo: desidera che chiunque alleverà quel suo figlio lo ami come se fosse il suo; lo ami e lo educhi affinché egli diventi un uomo forte, un uomo libero.
Chi abbandona il proprio figlio può mai pensare che per suo figlio debbano esserci solo dei genitori ricchi?
Chi abbandona il proprio figlio può mai pensare che per suo figlio debbano esserci solo dei genitori del suo stesso credo religioso?
Chi abbandona il proprio figlio può mai pensare che per suo figlio debbano esserci solo dei genitori eterosessuali?
NO! Assolutamente no!

Chi abbandona il proprio figlio pensa ad una sola cosa: Che per suo figlio, grazie al Signore, al destino o al buon Dio, debbano esserci SOLO dei genitori in grado di amarlo.

Ma torniamo a parlare del bambino africano.
Tra di voi, forse, qualcuno ha già capito; tra di voi, forse, qualcuno ha già intuito di chi sto parlando; e a quale Miracolo mi riferisco.
"Nomen, omen" dicevano i latini.
Con il cuore sotto un macigno, questa madre africana, perseguitata anche lei, schiava! … con il cuore sotto un macigno quella madre fu costretta ad abbandonare suo figlio - certa che quella fosse l’unica alternativa praticabile alla morte - infilandolo in una cesta e lasciando che quella cesta fosse trasportata via dalla corrente del fiume.

Il caso volle che poco più a valle quella cesta fosse ripescata e quel bambino fosse riscattato alla vita. La donna che raccolse quel bambino e decise sin dal primo momento di adottarlo si chiamava Bithia, era la figlia del faraone. Quel bambino - non sappiamo se sia mai esistito - ma la sua storia certo che esiste - quel bambino si chiamava Mosè.
Quel Mosè delle Tavole della Legge e dell’imperativo categorico del “Non uccidere”.

martedì 16 febbraio 2016

L'iperbole del Diritto

In merito allo “Stato di diritto”,
vorrei segnalare un punto di vista pragmatico che serve, a mio giudizio, per nuovi spunti di riflessione.
Secondo diverse fonti, lo Stato di diritto deriva dall’espressione tedesca “Rechtsstaat” e non è altro che quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo, insieme alla garanzia dello stato sociale.
Lo Stato di diritto si contrappone all’assolutismo (quello dove esistono poteri assoluti svincolati a qualsivoglia potere ad essi superiore).
Detto ciò appare subito evidente che lo “Stato di diritto” è strettamente correlato alle libertà dell’uomo.
Queste ultime, però, non sono affatto una mera raccolta di principi irrinunciabili contenuti in questa o quella carta: le libertà fondamentali dell’uomo mutano nel tempo e, inoltre, non possono in alcun modo presentare il carattere del privilegio di alcuni su altri.
Non può esistere un ente statuale che possa da solo attribuirsi l’etichetta di “Stato di diritto” visto che questo, implicitamente vorrebbe dire che alcuni cittadini godono di diritti universali che quello stesso stato nega al resto dell’umanità.
Posto che il trascorrere del tempo introduce nelle persone nuove aspirazioni, nuove necessità, nuove responsabilità che di secolo in secolo, di decennio in decennio mutano, anche quello stato che riuscisse a garantire “tutte” le libertà dell’uomo ai suoi cittadini, si vedrebbe costantemente impegnato nella introduzione di nuovi principi, in grado di mutare profondamente la società e gli assetti che di volta in volta vengono raggiunti.
Lo Stato di diritto, quindi, è un qualcosa di ideale e non un qualcosa di reale. Per fare una analogia sportiva: la corsa verso lo Stato di diritto è una corsa senza fine: lo Stato di diritto non è una scritta su di uno striscione sotto il quale "transitare" al termine della personale o collettiva maratona che noi viventi corriamo.
Ogni essere umano (auspicando di essere egli stesso il mutamento che vuol vedere nella società in cui vive) è costantemente impegnato in raggiungere nuove consapevolezze, nuovi traguardi in un moto “verso” lo Stato di diritto che non ha mai fine.
Questo punto di vista, introduce un principio, a mio giudizio, assoluto: lo Stato di diritto è qualcosa “verso” la quale ci si dirige, giorno dopo giorno; passo dopo passo.
Volendo cercare una analogia matematica, potremmo, senza sbagliare, pensare allo Stato di diritto come un asintono di una curva. È possibile avvicinisarsi sempre di più allo Stato di diritto compiuto ma non è materialmente possibile raggiungerlo se non “all’infinito”.
Prendendo ad esempio un piano cartesiano, potremmo indicare su una delle due coordinate (per esempio l’ordinata) il livello di Stato di diritto: se l’ordinata fosse “zero” potremmo dire di aver raggiunto l’obiettivo: un ramo di iperbole, può dare un’idea grafica di questo concetto.
Quando mi muovo lungo i punti di un ramo di iperbole, mano mano che l’ascissa cresce, l’altra coordinata (l’ordinata) decresce.
Il punto, però, con ordinata pari a zero è un punto dell’iperbole che ha un ascissa infinita!
Proprio perché lo Stato di diritto è una condizione ideale irraggiungibile.
“Passo dopo passo” ci si può avvicinare tantissimo, ma solo dopo “infiniti” passi in avanti si raggiunge lo “Stato di diritto compiuto”.
Il ramo di iperbole, citato, offre ulteriori spunti: ogni ramo di iperbole (prendiamo la più comune e semplice delle iperbole quella la cui equazione è “ y = 1 / x “: questa iperbole (ovvero uno dei sue due rami) ha due asintoti che sono l’asse x e l’asse y.
Come abbiamo appena detto, l’asse delle x è da intendersi come l’asintoto della curva che ci dice il “livello” di Stato di diritto. Se un qualsiasi stato si trova nel punto medio della curva (quello di coordinate “1, 1” allora la distanza dai due asintoti è uguale.
L’asintoto verticale è molto utile perché può fornire una altrettanto utile indicazione del livello di “Stato assoluto”. Anche in questo caso, lo “Stato assoluto” è una condizione ideale di per sé inesistente. Anche il più violento, illiberale, antidemocratico degli stati ha al suo interno dei semi di “libertà” individuali che non può negare alle persone che lo compongono.
Le conseguenze di questa esemplificazione sono poderose: mentre mi muovo lungo il ramo di iperbole posso allontanarmi dallo Stato assoluto ma, solo quando sono distante “infinito” dall’asse delle ordinate posso dire di aver “sconfitto” ogni forma di assolutismo. E in effetti, essere distante “infinito” dall’asse delle ordinate, equivale ad essere esattamente nel punto in cui il ramo di iperbole “tocca” l’altro asse: l’asse delle ascisse, l’asintoto dello “Stato di diritto”; il punto dello “Stato di diritto computo”.
Oggi, riflettendo sul concetto di “stato assoluto” non può non venire alla mente il concetto, a noi molto familiare, della “ragion di Stato”. La ragion di Stato è in perfetta identità con “lo Stato assoluto”.
Quello stato in cui esiste un potere che calpesta i diritti individuali per garantire la sua stessa esistenza (l’esistenza del potere e il mantenimento del potere di alcuni su altri).
Gli esempi si sprecano (basti pensare ai totalitarismi del novecento o agli imperi che si sono susseguiti nel corso dei secoli o alle monarchie assolute sparse in giro per il mondo.
Esse sono chiari esempi di società e comunità di persone fondate sulla “ragion di Stato”.
Per questa ragione, ribadisco il concetto a me caro, e estremamente semplice della correlazione “inversamente proporzionale” tra Stato di diritto e Stato assoluto; tra Stato di diritto e ragion di Stato.
Le scelte individuali e collettive che prendiamo devono essere ispirate ad un principio semplice e “tangibile”: la scelta che operiamo che conseguenze avrà sul “livello” di Stato di diritto
o, che è lo stesso, sul “livello” di ragion di Stato?
Se la nostra scelta ci fa fare un passo lungo “quel ramo di iperbole” verso lo Stato di diritto, allora essa è la scelta da prendere. In caso contrario, solo le emergenze, solo gli “stati di emergenza” potranno giustificare alle menti e ai cuori delle persone (a partire dai massimi magistrati di questo nostro strano mondo), una scelta contraria.
Ma, si badi attentamente: il fine non giustifica mai i mezzi e scelte illiberali ovvero di interesse parziale ovvero di affermazione violenta unilaterale delle proprie ragioni non potrà fare altro che farci “muovere” verso l’asintoto della “ragion di Stato” ovvero verso un livello di “Stato di diritto” più basso.

martedì 19 gennaio 2016

Lettera a coloro che hanno a cuore il Diritto

Vi scrivo con estremo ritardo, è vero, ma anche con estrema urgenza. Oggi si sta consumando un fatto gravissimo sotto i nostri occhi.
Una destra deviata e antidemocratica sta consumando un golpe: un colpo mortale alla nostra democrazia che verrà ufficialmente uccisa con il referendum confermativo del prossimo ottobre.
È un piano ben orchestrato che menti molto più fini e consapevoli delle nostre hanno elaborato fino al più piccolo dettaglio.
Non chiedetemi di date o luoghi perché non ho le necessarie competenze giornalistiche ma è tutto fin troppo chiaro: stiamo assistendo alla messa in opera di un progetto che trae origine con la famosa loggia P2 dove forze fasciste, lobbistiche e del crimine organizzato si erano già messe all'opera in società.
Matteo "il bischero" è solo uno strumento nelle mani di qualcun'altro o di altri. La sua ascesa, se non sbaglio fu interamente mediatica: un sindaco venuto dal nulla, senza alcuna cultura politica se non di tipo democristiano che salì agli altari della cronaca per voler essere "il rottamatore" ma che fino a questo momento è riuscito solo a far fuori le poche forze contrarie alle riforme costituzionali che nel PCI/PdS/DS/PD erano rimaste.
Queste persone hanno intravisto una possibilità e hanno messo in atto il loro piano: un piano che ha avuto inizio dopo l'esito delle scorse elezioni quando con le "Primarie del PD" si è capito che si poteva portare a casa la riforma. Una riforma della Costituzione che è la fotocopia di quella berlusconiana ma per molti versi peggiorativa.
Una riforma che per come è stata fatta non può che gridare vendetta e che per come è stata fatta tradisce tutta la sua natura contraria allo Stato di Diritto.
Hanno capito che Matteo "il bischero" era l'uomo giusto: l'uomo appartenente chissà a quale loggia (mie speculazioni) che verrà utilizzato e poi gettato via per dar posto al nuovo monarca.
Una riforma della Costituzione e delle regole, dicevo, che ci fa tornare indietro di 200 anni. Hanno detto bene ieri nelle dichiarazioni di voto gli esponenti delle opposizioni: prego tutti voi andare a riascoltare le loro parole.
Di fatto diventeremo come la Russia; ci consegneremo mani e piedi al nuovo monarca che potrà agire indisturbato, non più "in spregio alla Costituzione" ma legittimato dalla nuova Legge che non assegna più il potere al popolo ma magari ad una Marina Berlusconi che se non sbaglio è ancora, assieme al padre, proprietaria della grande maggioranza dei mezzi d'informazione (televisivi e non).
Il potere che viene dato all'esecutivo è immenso, senza contropoteri dello Stato in grado di impensierirlo. Il Senato della Repubblica non solo non da la fiducia ma è persino il ritrovo di un manipolo di raccomandati, nominati dalle Regioni. La Camera dei Deputati, diventa, invece, la camera dei nominati dal "Primo/Prima (Premier/Premiere)" che magari con il 15, 20% del consenso nel paese (tenuto conto di chi a votare non ci va) riesce a portare a casa il "premio di maggioranza" al singolo partito (non più alla coalizione). Hanno imparato bene da Putin, hanno preso appunti. E sarà allora inutile invocare l'ONU. Vi/ci risulta che la Russia nonostante faccia parte della CEDU rispetti i Diritti Umani politici della sua gente, del suo popolo? Ovviamente no. E vi/ci risulta per caso un solo ricorso alla CEDU da parte di un cittadino russo perché il Diritto Umano a essere opposizione al regime è violato? Ovviamente no (in realtà anche quando la CEDU sentenzia contro la Russia può succedere che "di imperio" Putin decida che non ci si può intromettere negli affari interni).
Dicevo nulla è stato lasciato al caso e nulla sarà lasciato al caso da qui ad ottobre. Già Matteo "il bischero" lo va dicendo: quello di Ottobre non è un voto sulle riforme costituzionali ma è un voto su di me! Sa che quello di "mandare la palla in tribuna" è l'unico modo che ha (hanno) per portare a casa la riforma perché se i cittadini fossero messi nelle condizioni di giudicare la riforma la boccierebbero senza appello (come hanno già fatto con Berlusconi). Ma il "conoscere per deliberare" non è quello che verrà messo in atto nei prossimi mesi: nei prossimi mesi vedremo una serie di marchette elettorali senza precedenti (ovviamente tutte a debito; pagheranno gli italiani in futuro). Già immagino un bel regalo ai pensionati per fine anno: verrà detto loro "cari pensionati io voglio darvi grosso modo 1.000 euro in più all'anno dal prossimo anno MA se le riforme non passano "io me ne vado" (perché lo ha già detto) e addio alla vostra ricompensa." e lo stesso farà con i più poveri "agitando" lo specchietto per le allodole del reddito di cittadinanza. Ovviamente tutte promesse che potrà (provare a) mantenere dopo il Referendum quando lui non servirà più e probabilmente con nonchalance Angelino Alfano farà cadere il governo per consegnare il Paese in mano alla destra.
Ripeto che, a mio modesto parere, la sequenza di eventi è chiara; Matteo "il bischero" segretario del PD, la necessità di far cadere il governo Letta e poi la super urgenza delle riforme costituzionali, come se il Paese non avesse invece avuto bisogno di affrontare altre questioni come la povertà, la Giustizia, la disoccupazione, la corruzione, le disuguaglianze nord-sud, ...
Dicevo prima che questa riforma è quella della destra e che da qui in avanti anche Berlusconi dichiarerà pubblicamente che suo malgrado, nonostante questo voglia dire mantenere Renzi (ancora per poco) al Governo voterà di sì "perché il Paese ha bisogno di essere più governabile".
Certo la lotta intestina (alla "Partitocrazia S.p.A.") per il potere tra PD e Forza Italia sarà vera lotta ma il PD non ha nessuna chance perché a livello mediatico il PD non controlla quasi nulla. Mi chiedo quanti degli attuali vertici RAI, Mediaset e La7 siano mai stati del PD prima del 2012? Quanti direttori di giornale, quanti editori? Credo che sia una cifra prossima allo "zero".
E badate bene che da qui ad Ottobre anche quei pochi editori rimasti "non allineati" (Radio Radicale compresa) verranno fortemente attaccati e possibilmente silenziati affinché nessuno possa interferire con "il loro piano".
Propongo che far bocciare questa riforma costituzionale al Referendum debba diventare la nostra priorità. Se le riforme passano il nostro dibattito per riformare l'ONU ovvero la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo introducendo il Diritto alla Conoscenza e la transizione transnazionale verso lo Stato di Diritto contro le "ragioni di Stati" diverrà vano, inconferente e anacronistico. Dobbiamo ora concentrare le nostre esigue forze su questa "ultima battaglia" per salvare la Costituzione Italiana per come ce l'hanno consegnata le forze di opposizione al fascismo. Diceva bene un oratore ieri a Radio Radicale (verso le 20): la nostra nuova Costituzione (se approvata) sarà molto più simile alle costituzioni di stampo sovietico dove i diritti individuali della persona devono cedere il passo agli interessi della maggioranza che però vengono sanciti - magari con l'applausometro - da un solo uomo: "lo zar".

giovedì 7 gennaio 2016

La peste italiana o il "tumore italiano"?

Abbiamo sentito parlare in più di una occasione di “peste italiana”.
La peste come molti sapranno, è una malattia infettiva di origine batterica dovuta ad uno specifico batterio di cui non ricordo il nome. I radicali da diversi decenni parlano di “peste italiana” per significare lo stato patologico del nostro paese con proprietà altamente contagiose a livello transnazionale (si pensi all’ingolfamento della Corte Europea dei Diritti Umani che i ricorsi italiani hanno provocato in passato o alla diffusione a livello internazionale delle criminalità organizzate nostrane).

Oggi, però, alla luce dell’attuale situazione in cui verte il nostro paese la patologia che meglio di altre può rappresentare una più aderente analogia con lo stato italiano è il cancro.
Questa mia considerazione nasce dalla personalissima esperienza condivisa con decine di migliaia se non centinaia (forse milioni) di miei concittadini:
Se una persona oggi esegue - in questo nostro paese - una qualsiasi prestazione per un qualsiasi soggetto le conseguenze (ovvero gli effetti benefici o "malefici" che da essa scaturiscono) si differenziano non in funzione della qualità dell’esecuzione ma in funzione della territorialità. Già da ragazzo (oltre 20 anni or sono) sentivo interi settori della nostra comunità (del nostro “popolo”) esprimersi in questi termini: “se vuoi lavorare senza dover fare il doppio della fatica per ottenere lo stesso risultato, devi farlo DA ROMA IN SU” (altro che “Cristo si è fermato ad Eboli”!).
E attenzione: questo vale anche quando si ha a che fare con le pubbliche amministrazioni. Non capivo perché le stesse persone, le stesse metodologia e tipologia lavorative (per attenersi al mercato del lavoro) - ovvero i loro risultati - fossero così condizionati dal territorio.
A mio giudizio, già allora la patologia era manifesta: la causa del cancro era ed è l’assenza dello Stato di Diritto per ragioni sistematiche e non localistiche.
Ma contro quella malattia non è stato fatto (quasi) nulla perché non si è lavorato per eliminare la causa scatenante “l’assenza dello Stato di Diritto”; il cancro è cresciuto indisturbato e oggi la malattia è in stato avanzato: metastasi in tutti i gangli vitali del paese: sanità, infrastrutture, istruzione, ... . A mio modesto avviso, il tumore era ed è dovuto a ragioni sistematiche (si finge di non vedere, si tollera l'intollerabile, si ricorre allo “stato di emergenza permanente”). 

Se assimiliamo lo Stato Italiano ad un organismo, è come se il tumore si sia “materializzato” solo in una sua porzione (ipotizziamo “il polmone sinistro”).
Ma la causa del tumore non è imputabile al comportamento del “polmone sinistro”: il singolo polmone non decide per conto suo cosa inalare; non è in grado di mettere in pratica strategie difensive; serve un approccio olistico al problema se si vuole sconfiggere una patologia così marcata. Solo uno stolto potrebbe pensare che sarebbe sufficiente asportare tutto il polmone. Quell'organo era semplicemente il più esposto; forse la concentrazione di agenti cancerogeni era maggiore; forse c’erano già delle lesioni, forse un’infiammazione dovuta ad un raffreddore è stata curata male … poco importa.
Sta di fatto che la malattia ha un’origine endogena dovuta ad un mix di autocompiacimento (appariscenza piuttosto che sostanza) e trascuratezza (non cogliere i segnali, declinare ogni responsabilità).

Dicevo, “da Roma in su”, come paradigma della impossibilità di puntare ad uno sviluppo della persona e della propria comunità a certe latitudini: a milioni hanno lasciato le Due Sicilie; una vera diaspora.

Tutto il resto è una logica conseguenza: tornando al parallelo con l’organismo: a causa della unicità e indivisibilità dei sistemi circolatorio, endocrino, linfatico e nervoso (“Una e indivisibile” come scriveva dell’Italia il Presidente Emerito Giorgio Napolitano) era solo questione di tempo prima che i sintomi della malattia si manifestassero in tutto l’organismo.
siamo all’assurdo, il ricorso alla Magistratura è diventato un forma di masochismo da parte di chi chiede Giustizia.
Questo perché le lungaggini della giustizia, i suoi costi, l’intangibilità delle somme illecitamente sottratte, accumulate e distratte chissà dove, sono diventati la norma!
Oggi più che mai l’ “organismo Italia” ha bisogno di una cura “poderosa”: una riforma della Giustizia di tipo “chemioterapico”. Certo, la chemioterapia ti fa cadere i capelli, ti rende debole, non puoi divertirti e spassartela come prima, devi seguire una dieta ferrea (altro che Olimpiadi di Roma) e mille altre contro-indicazioni. Ma è in gioco la sopravvivenza del nostro paese e ... tant’è.

Ma la malattia non è “la Calabria”, la malattia non è “la Campania” (ricordiamo quando il Ministro Brunetta disse: «la conurbazione Napoli-Caserta è un cancro sociale e culturale. Un cancro etico, dove lo Stato non c’è, non c’è la politica, non c’è la società»).
Oggi si arriva al paradosso che la (quasi) totale assenza dello Stato di Diritto assume a volte tratti comici: dalle mie parti un professionista può sentirsi dire da un cliente che non vuol pagare in tono minaccioso la seguente frase: “FAMMI CAUSA!”.