In merito allo “Stato di diritto”,
vorrei segnalare un punto di vista pragmatico che serve, a mio giudizio, per nuovi spunti di riflessione.
Secondo diverse fonti, lo Stato di diritto deriva dall’espressione tedesca “Rechtsstaat” e non è altro che quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo, insieme alla garanzia dello stato sociale.
Lo Stato di diritto si contrappone all’assolutismo (quello dove esistono poteri assoluti svincolati a qualsivoglia potere ad essi superiore).
Detto ciò appare subito evidente che lo “Stato di diritto” è strettamente correlato alle libertà dell’uomo.
Queste ultime, però, non sono affatto una mera raccolta di principi irrinunciabili contenuti in questa o quella carta: le libertà fondamentali dell’uomo mutano nel tempo e, inoltre, non possono in alcun modo presentare il carattere del privilegio di alcuni su altri.
Non può esistere un ente statuale che possa da solo attribuirsi l’etichetta di “Stato di diritto” visto che questo, implicitamente vorrebbe dire che alcuni cittadini godono di diritti universali che quello stesso stato nega al resto dell’umanità.
Non può esistere un ente statuale che possa da solo attribuirsi l’etichetta di “Stato di diritto” visto che questo, implicitamente vorrebbe dire che alcuni cittadini godono di diritti universali che quello stesso stato nega al resto dell’umanità.
Posto che il trascorrere del tempo introduce nelle persone nuove aspirazioni, nuove necessità, nuove responsabilità che di secolo in secolo, di decennio in decennio mutano, anche quello stato che riuscisse a garantire “tutte” le libertà dell’uomo ai suoi cittadini, si vedrebbe costantemente impegnato nella introduzione di nuovi principi, in grado di mutare profondamente la società e gli assetti che di volta in volta vengono raggiunti.
Lo Stato di diritto, quindi, è un qualcosa di ideale e non un qualcosa di reale. Per fare una analogia sportiva: la corsa verso lo Stato di diritto è una corsa senza fine: lo Stato di diritto non è una scritta su di uno striscione sotto il quale "transitare" al termine della personale o collettiva maratona che noi viventi corriamo.
Ogni essere umano (auspicando di essere egli stesso il mutamento che vuol vedere nella società in cui vive) è costantemente impegnato in raggiungere nuove consapevolezze, nuovi traguardi in un moto “verso” lo Stato di diritto che non ha mai fine.
Questo punto di vista, introduce un principio, a mio giudizio, assoluto: lo Stato di diritto è qualcosa “verso” la quale ci si dirige, giorno dopo giorno; passo dopo passo.
Volendo cercare una analogia matematica, potremmo, senza sbagliare, pensare allo Stato di diritto come un asintono di una curva. È possibile avvicinisarsi sempre di più allo Stato di diritto compiuto ma non è materialmente possibile raggiungerlo se non “all’infinito”.
Prendendo ad esempio un piano cartesiano, potremmo indicare su una delle due coordinate (per esempio l’ordinata) il livello di Stato di diritto: se l’ordinata fosse “zero” potremmo dire di aver raggiunto l’obiettivo: un ramo di iperbole, può dare un’idea grafica di questo concetto.
Quando mi muovo lungo i punti di un ramo di iperbole, mano mano che l’ascissa cresce, l’altra coordinata (l’ordinata) decresce.
Il punto, però, con ordinata pari a zero è un punto dell’iperbole che ha un ascissa infinita!
Proprio perché lo Stato di diritto è una condizione ideale irraggiungibile.
“Passo dopo passo” ci si può avvicinare tantissimo, ma solo dopo “infiniti” passi in avanti si raggiunge lo “Stato di diritto compiuto”.
Il ramo di iperbole, citato, offre ulteriori spunti: ogni ramo di iperbole (prendiamo la più comune e semplice delle iperbole quella la cui equazione è “ y = 1 / x “: questa iperbole (ovvero uno dei sue due rami) ha due asintoti che sono l’asse x e l’asse y.
Il ramo di iperbole, citato, offre ulteriori spunti: ogni ramo di iperbole (prendiamo la più comune e semplice delle iperbole quella la cui equazione è “ y = 1 / x “: questa iperbole (ovvero uno dei sue due rami) ha due asintoti che sono l’asse x e l’asse y.
L’asintoto verticale è molto utile perché può fornire una altrettanto utile indicazione del livello di “Stato assoluto”. Anche in questo caso, lo “Stato assoluto” è una condizione ideale di per sé inesistente. Anche il più violento, illiberale, antidemocratico degli stati ha al suo interno dei semi di “libertà” individuali che non può negare alle persone che lo compongono.
Le conseguenze di questa esemplificazione sono poderose: mentre mi muovo lungo il ramo di iperbole posso allontanarmi dallo Stato assoluto ma, solo quando sono distante “infinito” dall’asse delle ordinate posso dire di aver “sconfitto” ogni forma di assolutismo. E in effetti, essere distante “infinito” dall’asse delle ordinate, equivale ad essere esattamente nel punto in cui il ramo di iperbole “tocca” l’altro asse: l’asse delle ascisse, l’asintoto dello “Stato di diritto”; il punto dello “Stato di diritto computo”.
Oggi, riflettendo sul concetto di “stato assoluto” non può non venire alla mente il concetto, a noi molto familiare, della “ragion di Stato”. La ragion di Stato è in perfetta identità con “lo Stato assoluto”.
Quello stato in cui esiste un potere che calpesta i diritti individuali per garantire la sua stessa esistenza (l’esistenza del potere e il mantenimento del potere di alcuni su altri).
Gli esempi si sprecano (basti pensare ai totalitarismi del novecento o agli imperi che si sono susseguiti nel corso dei secoli o alle monarchie assolute sparse in giro per il mondo.
Esse sono chiari esempi di società e comunità di persone fondate sulla “ragion di Stato”.
Per questa ragione, ribadisco il concetto a me caro, e estremamente semplice della correlazione “inversamente proporzionale” tra Stato di diritto e Stato assoluto; tra Stato di diritto e ragion di Stato.
Le scelte individuali e collettive che prendiamo devono essere ispirate ad un principio semplice e “tangibile”: la scelta che operiamo che conseguenze avrà sul “livello” di Stato di diritto
o, che è lo stesso, sul “livello” di ragion di Stato?
Se la nostra scelta ci fa fare un passo lungo “quel ramo di iperbole” verso lo Stato di diritto, allora essa è la scelta da prendere. In caso contrario, solo le emergenze, solo gli “stati di emergenza” potranno giustificare alle menti e ai cuori delle persone (a partire dai massimi magistrati di questo nostro strano mondo), una scelta contraria.
Ma, si badi attentamente: il fine non giustifica mai i mezzi e scelte illiberali ovvero di interesse parziale ovvero di affermazione violenta unilaterale delle proprie ragioni non potrà fare altro che farci “muovere” verso l’asintoto della “ragion di Stato” ovvero verso un livello di “Stato di diritto” più basso.

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