Il 5 gennaio 1984 fu ucciso da dei "criminali organizzati" che - come lui denuncia in quest’intervista - “stanno in Parlamento, [...] a volte sono ministri”; una settimana prima rilasciava questa intervista ad Enzo Biagi con a fianco Nando Dalla Chiesa.
[...]
Enzo Biagi:
Giuseppe Fava, giornalista, scrittore, catanese, autore di romanzi e di opere per il teatro.
Fava, per i suoi racconti a che cosa si è ispirato?
Giuseppe Fava:
alle mie esperienze giornalistiche; io ti chiedo scusa ma sono esterrefatto dinanzi alle dichiarazioni del regista svizzero. Mi rendo conto, cioè, che c’è una enorme confusione che si fa sul problema della mafia; questo signore ha avuto a che fare con quelli che dalle nostre parti - come Sciascia giustamente dice - sono “scassapagliari”; cioè delinquenti da tre soldi che esistono su tutta la faccia della Terra. I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee (ndr: e stando alle parole di Fava non stanno in carcere).
I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione (ndr: Fava parla nel 1983 ma vale anche oggi).
Se non si chiarisce questo equivoco di fondo … Cioè non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale; questa è roba da piccola criminalità che, credo che faccia parte, oramai abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee.
Il problema della mafia è molto più tragico, più importante; è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina e al decadimento culturale definitivo l’Italia.
E.B.: tu hai fatto una conoscenza diretta del mondo della mafia come giornalista?
G.F.: sì, ho conosciuto diversi personaggi dell’una e dell’altra parte attraverso quelle che erano le cronache, le inchieste, le indagini che andavamo conducendo e che puntualmente abbiamo riferito sui nostri giornali.
E.B.: chi ricordi di più di questi tipi? i vecchi mafiosi per esempio? sono cambiati?
G.F.: mah, sì, sì. Ma no! c’è un’abisso! Anche questa è una grande confusione che si fa fra la mafia qual era vent’anni fa, quindici anni fa e quella che è oggi (ndr: 1983):
allora il mafioso per eccellenza era Genco Russo. Io sono stato a casa di Genco Russo e - mi si perdoni il termine - ho avuto - con molta ironia lo dico - l’onore di essere stato l’unico ad intervistare Genco Russo; ad avere da lui un memoriale - da lui firmato - che cominciava: ““io sono Genco Russo, il re della mafia”. Genco Russo era un uomo il quale governava il territorio di Mussumeli (ndr: provincia di Caltanissetta) dove da vent’anni non c’era - non dico un omicidio ma - uno schiaffo; cioè non c’era un furto; dove tutto procedeva nell’ordine e nella legalità assoluta: era la vecchia mafia agricola, la quale governava un territorio e aveva una forza straordinaria che contro di loro non potevi fiatare. Governava 15, 20 mila, 30 mila, 40 mila voti di preferenze di una parte della provincia e nessun uomo politico poteva ignorare questa potenza determinante perché bastava che Genco Russo spostasse non da un partito all’altro ma all’interno dello stesso partito quella massa di voti per determinare la fortuna o l’infelicità di un uomo politico. Ecco perché poteva andare alla Regione Siciliana e spalancare con un calcio la porta degli assessori: perché lui era il padrone. Solo che poi … dopo la società corse avanti, si modificò tutto e i mafiosi non furono più quelli come Genco Russo. I mafiosi ora non sono quelli che ammazzano; quelli sono gli esecutori: anche al massimo livello si fanno i nomi di … - non lo so, io non li conosco personalmente - dei fratelli Greco; si dice che siano “i mafiosi vincenti a Palermo”, “i padroni della mafia”, “i governanti”, “i governatori”, “i vicerè della mafia”; non è vero. Loro sono - anche loro - degli esecutori; sono nella organizzazione e stanno al posto loro e fanno quello che gli altri … - non lo so, adesso io parlo di persone che sono incensurate, quindi presumo secondo l’accusa.
Un’organizzazione, la quale riesce a manovrare centomila miliardi l’anno (ndr: di lire)
che sono più, se non erro, del bilancio di un anno dello Stato italiano; in condizione di armare degli eserciti, in condizione di possedere delle flotte, di avere un’aviazione propria. Di fatti, in effetti, sta accadendo che la mafia si sia oramai pressoché impadronita almeno nel Medio-oriente del commercio delle armi, del mercato delle armi. Ecco gli americani contano in questo, però neanche loro avrebbero cittadinanza in italia come mafiosi se non ci fosse il potere politico-finanziario che consente loro di esistere perché questi ..., diciamo che di questi 100.000 miliardi, un terzo, un quinto resta in Italia e bisogna pure impiegarlo in qualche modo; bisogna riciclarlo, ripulirlo, re-investirlo. E allora ecco le banche, le banche nuove; questo pullulare, questo proliferare di banche nuove dovunque. E servono per riciclare: Il generale Dalla Chiesa lo aveva capito, questa era stata la sua grande intuizione - quello che lo portò alla morte - che era dentro le banche che bisognava frugare perché lì c’erano decine di migliaia di miliardi insanguinati che venivano immessi dentro le banche e ne fuoriuscivano per andare verso opere pubbliche; io ritengo che molte chiese siano state costruite con appalti avuti da denari mafiosi insanguinati.
E.B.: una volta si diceva che la forza dei mafiosi era la capacità di tacere; e adesso?
G.F.: io sono d’accordo con Nando Dalla Chiesa, la mafia ha acquistato una tale impunità da essere diventata persino tracotante; le parentele si fanno ufficialmente non è che ci siano … sì, certo, si cerca di tirar fuori le mani e di tenerle in alto quando c’è qualcuno che sta per essere ammazzato; l’alibi personale; l’alibi morale; … ma non credo che ci sia questa paura, questa necessità di ... (?). Io ho visto molti funerali di Stato - io dico una cosa della quale io solo sono convito e può anche, quindi, non esser vera - ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità.
E.B.: cosa significa essere protetti secondo il linguaggio dei mafiosi?
G.F.: “essere protetti” significa poter vivere dentro questa società; io ho letto una intervista esemplare nei giorni scorsi a quel signore di Torino che ha corrotto tutto l’ambiente politico torinese. E diceva una cosa che è fondamentale; cioè a dire, è una legge mafiosa che è stata esportata, è venuta su dalla Sicilia, e fa parte ormai della cultura nazionale: “non si fa niente in Italia se non c’è l’assenso del politico e se il politico non è pagato”. Ecco noi viviamo in questo tipo di società; in questo tipo di società la protezione è indispensabile se qualcuno non vuol condurre la vita da lupo solitario che può essere anche una scelta, può essere anche affascinante: esser soli nella vita e non avere, né aderenze, né protezione da alcuna parte. Orgogliosamente soli fino all’ultimo. Questa può essere una scelta ma sessanta milioni di italiani non potranno farla.
E.B.: non hanno questa vocazione alla solitudine.
E.B.: Vorrei fare a voi tutti una domanda; secondo voi che cosa bisognerebbe fare per eliminare questo fenomeno? Fava?
G.F.: mah, tu fai una piccola domanda che avrebbe bisogno di un’enciclopedia; cioè, io posso dirti soltanto che a mio parere tutto parte da una assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana. Bisogna ricominciare da lì; cioè è forse necessario creare una seconda Repubblica in Italia e intendo di creare una seconda repubblica che abbia delle leggi e una struttura di democrazia che eliminino il pericolo che il politico possa diventare succube o di se stesso, o della sua avidità o dalla ferocia degli altri o della paura o comunque in ogni caso che possa essere soltanto un professionista della politica; tutto nasce da lì, dal fallimento della politica e degli uomini politici e della nostra struttura politica e forse della nostra democrazia così come noi l’abbiamo in buonafede appassionatamente costruita e che ci si sta sgretolando tra le mani; dovremmo ricominciare da lì.
E.B.: prof. Dalla Chiesa.
Nando Dalla Chiesa: io c’ho pensato a lungo; credo che la regola più efficace sia quella di far capire che il delitto non dà potere, anzi che il delitto toglie il potere.

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