venerdì 30 giugno 2017

Così come è la legge sul reato di tortura non ci piace

di Elisabetta Zamparutti*

da "Il Dubbio , 29 giugno 2017"

Il nostro Paese si appresta a varare una norma che non contempla il reato di tortura come chiaramente descritto e sancito dal diritto internazionale. L'impegno nei confronti dell'Onu di 28 anni fa non può essere considerato soddisfatto.
Il flusso incessante di richiami che provengono all'Italia dagli organismi sovranazionali, in primis il Consiglio d'Europa, con le sentenze della Corte Europea per i diritti umani sul caso Cestaro e più di recente sui risarcimenti dovuti dall'Italia per i fatti della Diaz, le raccomandazioni del Comitato europeo Prevenzione Tortura e del Comitato dei Ministri, fino alla lettera inviata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muiznieks ai Presidenti di Camera e Senato in merito alle criticità per la formulazione del reato di tortura che si sta introducendo, senza dimenticare il Comitato Onu sui diritti umani con il suo Rapporto sull'Italia dello scorso mese di marzo, sono a questo punto eloquenti di una violazione sistematica da parte dell'Italia di precisi standard e obblighi internazionali.

Perché quando ci si impegna, come l'Italia si è obbligata a fare 28 anni fa ratificando la Convenzione Onu contro la tortura, ad introdurre il reato di tortura e, poi, omette di farlo per oltre un quarto di secolo, allora, diventa uno Stato tecnicamente fuori legge, con ciò perdendo autorevolezza, prestigio e credibilità agli occhi della comunità internazionale. Quando poi il nostro Paese si appresta a varare una legge che non contempla il reato di tortura come chiaramente descritto e sancito dal diritto internazionale, l'impegno nei confronti dell'Onu di 28 anni fa non può essere considerato serio e pienamente soddisfatto.
Il testo che sta andando al voto alla Camera non è il reato di tortura come previsto dalla Convenzione Onu, secondo la quale "il termine "tortura" indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona 
informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona...". Chiaro, semplice.

Invece, secondo la versione italiana, la tortura non è un reato specifico, chiaramente riferito, come stabilisce la Convenzione Onu, alle violenze "inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale", ma un reato comune, commesso da chiunque, un pubblico ufficiale come un privato cittadino, un agente di polizia come un affiliato alla mafia. Non basta poi un singolo atto di inflizione di sofferenza per poter parlare di tortura, perché ci devono essere "più condotte". Quanto alle torture psicologiche, i traumi psichici dovranno essere verificabili, come se la sofferenza mentale fosse una tumefazione fisica, col suo bel livido viola evidente a tutti! Però, questo Stato, che difetta di autorevolezza agli occhi del mondo, cerca di riguadagnarla in modo autoritario, mostrando la faccia feroce perché se poi dovesse derivare volontariamente la morte, infligge l'ergastolo!
Infine il "tana libera tutti", perché non si può parlare di tortura "nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti", né si trova nella legge un riferimento al fatto che le sofferenze siano "segnatamente volte ad ottenere informazioni o confessioni" come si legge nella Convenzione Onu.

Non mi stupisce se penso che nel nostro Paese esiste quella forma di "tortura democratica" che, insieme all'ergastolo ostativo, è il 41- bis rispetto al quale il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha ritenuto, di fronte alla giustificazione delle autorità italiane che la particolare afflittività è necessaria per contrastare la criminalità organizzata e proteggere la società, che fosse poco convincente e che si potesse ritenere invece che l'obiettivo di fondo fosse "piuttosto quello di utilizzare le ulteriori restrizioni come strumento per aumentare la pressione sui prigionieri in questione, al fine di indurli a collaborare con la giustizia" in contrasto con il dettato costituzionale e gli obblighi internazionalmente sottoscritti.
Si può anche fingere di non vedere, di non sapere ma c'è chi comunque ci guarda e ci osserva e queste sono le organizzazioni sovranazionali a cui come Partito Radicale e Nessuno tocchi Caino continueremo a rivolgerci. Sento già il governo spiegare a Strasburgo come a Ginevra che "Ecco, abbiamo provveduto ad introdurre il reato di tortura!". Lì però ci saremo anche noi, a spiegare che quello introdotto non è il reato di tortura. Lo faremo in sede di Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa quando valuterà la posizione del Governo sui casi oggetto delle sentenze della Cedu e lo faremo al Comitato Onu contro la Tortura dove l'Italia sarà esaminata il prossimo novembre.

*Presidenza Partito Radicale e Comitato europeo per la prevenzione della tortura per conto dell'Italia

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