venerdì 30 giugno 2017

Lettera aperta a Nicola Irto

Gentile direttore,

mi rivolgo a Lei nutrendo la speranza che, attraverso il suo giornale, possa parlare e rivolgermi alle istituzioni regionali calabresi. In particolare la mia lettera è rivolta al presidente del consiglio regionale Nicola Irto in qualità di primo firmatario e presentatore del progetto di legge per l'Istituzione del "Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale" e per la quale sono in sciopero della fame ormai da giorni.
Una fame che è fame di giustizia giusta e di Stato di Diritto. Uno sciopero della fame, il mio, iniziato per sostenere il digiuno di oltre un mese di Rita Bernardini rivolto ad ottenere una Legge per la “Riforma dell’Ordinamento Penitenziario” frutto degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale che lo stesso ministro della giustizia aveva voluto e far approvare, ai sensi dell’art. 79 della Costituzione, un provvedimento legislativo di amnistia e indulto che rappresenti quella “amnistia per la Repubblica", "amnistia legalitaria", che invocava Marco Pannella contro l'amnistia strisciante costituita dalle centinaia di migliaia di prescrizioni.
Oggi, personalmente, dopo che l'onorevole Rita Bernardini ha sospeso il suo, continuo a digiunare quattro giorni alla settimana per cercare di dialogare con Lei - Presidente- e con il Consiglio Regionale tutto affinché almeno si discuta la legge sul garante regionale dei detenuti.
La mia non vuole essere una provocazione, né un rimprovero, ma - come consuetudine radicale - è una richiesta di dialogo proprio su quella proposta di legge da Lei presentata, quasi due anni fa, il 13 maggio del 2015 quando ancora non era diventato presidente del consiglio regionale.
Sono quasi due anni!, si rende conto?
Potrei dirLe che è facile -nella sua posizione- presentare una proposta di legge per fare una velina rimproverandoLe che è più difficile fare in modo che questa venga poi approvata o, quantomeno, discussa nelle competenti commissioni e nell’assemblea che Lei oggi presiede.
Mi consenta di dirLe però, caro Presidente, che quel progetto di legge consentirebbe di tutelare diritti umani fondamentali e di prevenire forme subdole di "tortura democratica" che pur nelle carceri calabresi esistono. Invece quella proposta giace ancora in Prima Commissione, arenata per l'esame di "Merito" dal 30 Giugno2015. Dove l'esame è stato rinviato perché mancava la scheda tecnico-finanziaria. È ridicolo, e ci sarebbe da ridere se non fosse che parliamo di una legge praticamente a costo zero se non quelli di funzionamento ma che consentirebbe di tutelare diritti inviolabili anche per chi è stato privato della libertà. Mancano i soldi? Ma in quattro e quattr'otto, Le ricordo, nelle aule del consiglio regionale si stava per approvare una legge per far percepire la pensione ai consiglieri regionali e, solo all'ultimo momento, si è fatto marcia indietro per ragioni di opportunità politica.
Che dire? Niente. Le chiedo, anzi, La prego di soddisfare la fame di Giustizia delle “persone private della libertà personale” e la mia, e almeno discutere la proposta di legge che Lei ha presentato. Grazie.
Ing. Rocco Ruffa, militante calabrese del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito
12-03-2017

Così come è la legge sul reato di tortura non ci piace

di Elisabetta Zamparutti*

da "Il Dubbio , 29 giugno 2017"

Il nostro Paese si appresta a varare una norma che non contempla il reato di tortura come chiaramente descritto e sancito dal diritto internazionale. L'impegno nei confronti dell'Onu di 28 anni fa non può essere considerato soddisfatto.
Il flusso incessante di richiami che provengono all'Italia dagli organismi sovranazionali, in primis il Consiglio d'Europa, con le sentenze della Corte Europea per i diritti umani sul caso Cestaro e più di recente sui risarcimenti dovuti dall'Italia per i fatti della Diaz, le raccomandazioni del Comitato europeo Prevenzione Tortura e del Comitato dei Ministri, fino alla lettera inviata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muiznieks ai Presidenti di Camera e Senato in merito alle criticità per la formulazione del reato di tortura che si sta introducendo, senza dimenticare il Comitato Onu sui diritti umani con il suo Rapporto sull'Italia dello scorso mese di marzo, sono a questo punto eloquenti di una violazione sistematica da parte dell'Italia di precisi standard e obblighi internazionali.

Perché quando ci si impegna, come l'Italia si è obbligata a fare 28 anni fa ratificando la Convenzione Onu contro la tortura, ad introdurre il reato di tortura e, poi, omette di farlo per oltre un quarto di secolo, allora, diventa uno Stato tecnicamente fuori legge, con ciò perdendo autorevolezza, prestigio e credibilità agli occhi della comunità internazionale. Quando poi il nostro Paese si appresta a varare una legge che non contempla il reato di tortura come chiaramente descritto e sancito dal diritto internazionale, l'impegno nei confronti dell'Onu di 28 anni fa non può essere considerato serio e pienamente soddisfatto.
Il testo che sta andando al voto alla Camera non è il reato di tortura come previsto dalla Convenzione Onu, secondo la quale "il termine "tortura" indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona 
informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona...". Chiaro, semplice.

Invece, secondo la versione italiana, la tortura non è un reato specifico, chiaramente riferito, come stabilisce la Convenzione Onu, alle violenze "inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale", ma un reato comune, commesso da chiunque, un pubblico ufficiale come un privato cittadino, un agente di polizia come un affiliato alla mafia. Non basta poi un singolo atto di inflizione di sofferenza per poter parlare di tortura, perché ci devono essere "più condotte". Quanto alle torture psicologiche, i traumi psichici dovranno essere verificabili, come se la sofferenza mentale fosse una tumefazione fisica, col suo bel livido viola evidente a tutti! Però, questo Stato, che difetta di autorevolezza agli occhi del mondo, cerca di riguadagnarla in modo autoritario, mostrando la faccia feroce perché se poi dovesse derivare volontariamente la morte, infligge l'ergastolo!
Infine il "tana libera tutti", perché non si può parlare di tortura "nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti", né si trova nella legge un riferimento al fatto che le sofferenze siano "segnatamente volte ad ottenere informazioni o confessioni" come si legge nella Convenzione Onu.

Non mi stupisce se penso che nel nostro Paese esiste quella forma di "tortura democratica" che, insieme all'ergastolo ostativo, è il 41- bis rispetto al quale il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha ritenuto, di fronte alla giustificazione delle autorità italiane che la particolare afflittività è necessaria per contrastare la criminalità organizzata e proteggere la società, che fosse poco convincente e che si potesse ritenere invece che l'obiettivo di fondo fosse "piuttosto quello di utilizzare le ulteriori restrizioni come strumento per aumentare la pressione sui prigionieri in questione, al fine di indurli a collaborare con la giustizia" in contrasto con il dettato costituzionale e gli obblighi internazionalmente sottoscritti.
Si può anche fingere di non vedere, di non sapere ma c'è chi comunque ci guarda e ci osserva e queste sono le organizzazioni sovranazionali a cui come Partito Radicale e Nessuno tocchi Caino continueremo a rivolgerci. Sento già il governo spiegare a Strasburgo come a Ginevra che "Ecco, abbiamo provveduto ad introdurre il reato di tortura!". Lì però ci saremo anche noi, a spiegare che quello introdotto non è il reato di tortura. Lo faremo in sede di Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa quando valuterà la posizione del Governo sui casi oggetto delle sentenze della Cedu e lo faremo al Comitato Onu contro la Tortura dove l'Italia sarà esaminata il prossimo novembre.

*Presidenza Partito Radicale e Comitato europeo per la prevenzione della tortura per conto dell'Italia